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  • 4 min lettura

    Articolo di Sake Sisters

    Finalmente è tornato l’inverno e con lui è iniziata la stagione del sake. 

    Il sake ha bisogno del freddo e di pazienza, e io ho atteso con gioia di rientrare in cantina anche quest’anno. 

    Il primo giorno è sempre il più difficile, e la sveglia che suona alle 4:00 non aiuta. Caffè, doccia e via in bici verso la cantina. La giornata è lunga e inizia verso le 5:00 nella stanza del koji, o kojimuro (麴室). Non dimenticherò mai il mio primo giorno in cantina di tre anni fa, è stata la prima volta in cui sono entrata in una kojimuro e ricordo ancora che il cuore mi batteva forte.

    Sui libri che parlano di sake avevo letto che solo i kurabito più esperti vi possono entrare, e invece, forse anche perché la cantina ha poco personale, è stata la prima cosa che ho fatto. 

    Il koji viene lavorato per circa 48 ore e bisogna controllarlo e mescolarlo di tanto in tanto. Fuori nevica e in cantina il freddo ghiaccia le mani, ma all’interno della kojimuro ci sono 35° e l'umidità ti entra dentro in un istante. Il koji viene conservato in scatole di legno che, non appena aperte, sprigionano un aroma dolce che sa di castagne. Se non fosse che sembra di stare dentro a una sauna, potrei stare qui a contemplare ogni singolo chicco di riso per tutto il giorno.

    Una volta finito il lavoro dentro la stanza del koji, ci sono così tante cose da fare che la mente ritorna subito alla realtà. Dovete sapere che l’80% del lavoro che si svolge in cantina è di pulizia. Ogni strumento, ogni telo e ogni singolo oggetto che viene usato deve essere lavato con acqua bollente in modo da eliminare i batteri. 

    In quanto appena arrivata, e quindi con meno esperienza di tutti, i lavori di pulizia spettano a me. Le operazioni devono essere svolte in modo preciso, rapido e senza errori. 

    Le cantine di sake sono uno dei luoghi più tradizionali che si possano trovare in Giappone, dove si impara guardando i senpai (coloro che hanno più esperienza) e rispettando l’anzianità. Non c’è tempo per chiacchiere o lunghe spiegazioni e sicuramente non c’è tempo per distrarsi. 

    Il lavoro del kurabito richiede molta forza fisica, ma più rimango qui e più mi rendo conto che la cosa che conta veramente è la forza mentale. Le giornate sono lunghe ed estenuanti e bisogna mantenere la mente lucida e concentrata per evitare di fare errori che possano compromettere il sake o la propria salute fisica. La stagione è appena iniziata e mi rendo conto di quante sfide mi aspettano; sono nervosa e determinata allo stesso tempo.

    Ogni anno che ritorno in cantina ci sono nuove prove da affrontare e l’emozione è forte come la prima volta. Il primo anno ero qui per fare una breve esperienza, il secondo anno sono tornata perchè mi mancava come l’aria, e quest’anno, il terzo, sono tornata perchè il mio posto è qui.

    All’inizio mi sono buttata in questa avventura senza sapere come sarebbe andata, e quando è arrivato il momento di cominciare, le notti precedenti le ho passate insonni. L’emozione per una nuova sfida forse troppo grande, per la possibilità di non essere accettata o ben vista, o la difficoltà di entrare in un mondo così diverso e sconosciuto mi hanno tenuta sveglia e l’adrenalina non è scesa finchè non sono tornata a Tokyo. 

    L’anno scorso avevo una minima idea di cosa mi aspettava, ma per la prima volta avrei ricevuto un compenso per il mio lavoro, e questo cambiava tutto. Sin dal primo momento in cui ho messo piede in cantina, mi sono impegnata come mai nella vita, ma adesso dovevo anche dimostrare di meritarmi la paga, cosa che aggiungeva un ulteriore livello di stress.

    Il secondo anno ho iniziato lavorando due o tre giorni alla settimana, fino ad arrivare a sei giorni. Ho lavorato in tutto tre mesi e poi sono tornata a Tokyo, dove ho finalmente avuto modo di riflettere su tutto quello che avevo imparato. I tempi in cantina sono così rapidi che non è sempre facile capire cosa sta succedendo. Sui libri di testo viene spiegato il processo di produzione del sake in tutte le sue fasi, ma in realtà vengono prodotti diversi sake ogni giorno, e quindi, mentre si lava il riso per un tipo di sake, subito dopo si prepara il koji per un altro, e intanto si controlla la temperatura di un terzo sake che è già in fermentazione, e così via. 

    A monitorare tutto c’è il toji (per sapere tutto su questa figura, clicca QUI), che sa esattamente cosa succede in cantina e che prende tutte le decisioni necessarie. Ogni mattina appunta su un foglio le mansioni che dobbiamo svolgere e man mano che la giornata procede scrive se ci sono modifiche o nuove cose da fare.

    Questo mio terzo anno in cantina è iniziato a dicembre e la prima notte che ho passato a Izumo ho dormito uno dei sonni più belli che mi ricordi in tanti anni, quelle dormite che si fanno solo quando si è bambini e tutto intorno è pace. 

    L’anno scorso lavoravo principalmente con altre persone part-time come me o con i giovani della cantina (e quando dico giovani parlo di anni di esperienza e non di anni di età, anche se spesso le due cose coincidono) e il ritmo di lavoro, seppur incalzante, era intervallato di tanto in tanto da una frase o da una risata; quest’anno, invece, lavoro accanto ai “vecchi” e i ritmi sono ancora più serrati.

    Ogni giorno imparo tantissimo e di questo sarò eternamente grata, ma tra me e gli altri kurabito ci sono dai dieci ai trent’anni di esperienza di differenza e non ci sono parole sufficienti a descrivere l’abisso che ci separa. Questo non è un lavoro, è uno stile di vita e più sono qui, più mi rendo conto che la cosa che conta veramente è la forza mentale.